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Cenni sul pensiero federalista

Mondo, identità e storia


Il caso dello stato italiano

Federalista (da
foedus, patto) è, in generale, quella forma di organizzazione statuale in cui più comunità, ciascuna omogenea al proprio interno per modo di vivere, economia, tradizioni, storia, dialetto o lingua, mentre si amministrano autonomamente, gestendo in loco i soldi delle proprie tasse, liberamente stabiliscono di collegarsi fra loro e di demandare ad un'autorità centrale (federale) quella parte di poteri e di denari strettamente necessari alle esigenze comuni quali la difesa, la politica estera e poche altre.

Una tale forma statuale permette da un lato di rispettare i diversi modi di vita ed il frutto del lavoro di ciascuno e dall'altro di essere insieme per un migliore sviluppo. Sono stati federali o confederali l'Austria,
la Svizzera, la Germania, il Belgio, gli Stati Uniti e molti altri fra i più civili e sviluppati del mondo.
Scrive Benjamin Constant:
I grandi stati hanno grandi svantaggi. Le leggi partono da un luogo talmente lontano da quello dove devono applicarsi che errori gravi e frequenti sono effetti inevitabili di questa lontananza.

Se economisti e sociologi hanno ammonito sui limiti dei cosiddetti 'sistemi complessi' ossia sull'ingovernabilità da parte di un unico centro di grandi agglomerati statali o industriali, gli antropologi, per parte loro, hanno riconosciuto l'urgenza di preservare le differenze e le identità in un mondo sempre più omogeneizzato e banalizzato, dove ogni tendenza, dalle dottrine politiche alle teorie scientifiche giù fino agli atteggiamenti, al modo di vestire, alla musica, ai cibi parte da un unico centro e si diffonde per tutto il pianeta distruggendo, con ogni identità, la possibilità di confronto fra culture diverse, anche teso ma assolutamente indispensabile, che è l'unica via per la fecondità del pensiero, lo sviluppo e, in ultima analisi, la libertà.
La forma statuale che evita al meglio tali pericoli è proprio quella federale, dove l'essere, ad esempio, Piemontesi, Fiamminghi o Baschi non è oppresso dall'essere italiani, belgi o spagnoli ma si ha invece una cooperazione, nel rispetto delle reciproche identità.
Fra federalismo e democrazia vi è un legame indissolubile: tutti associati e tutti liberi.

I primi germi federalistici appaiono nel pensiero politico e filosofico europeo fin dalla fine del Seicento, con il politologo Johannes Althusius, secondo il quale compito del potere centrale è quello di garantire le autonomie associative pubbliche e private coordinandole al bene comune; l'inglese John Locke, per il quale i diritti naturali delle persone e dei gruppi associati vanno coordinati e difesi nell'organizzazione politica della società; il filosofo tedesco Immanuel Kant, secondo cui il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione; il francese Claude Henri de Saint-Simon, che auspica una confederazione fra gli stati europei. Nell'Ottocento, mentre la vena accentratrice giacobina della rivoluzione francese prosegue nel marxismo e giungerà alle sue estreme conseguenze nello stato supercentralizzato di Lenin, quella libertaria è raccolta da un avversario del marxismo, il pensatore francese Pierre Joseph Proudhon per il quale la libertà vera della società è possibile solo con uno stato ridotto ai minimi termini che sia non padrone della società ma strumento al servizio della società, ossia con uno stato federale. Proudhon fu osservatore contemporaneo dell'unificazione italiana e capì acutamente che, così condotta, avrebbe portato al disastro, l'unica soluzione ragionevole essendo una federazione di tre regni, uno al Nord, uno al Centro ed uno al Sud. Scrive infatti nel suo Du principe fedératif: L'unità d'Italia è una costruzione artificiale e fittizia. L'Italia è federale per natura del territorio, per la diversità degli abitanti, per lo spirito, per i costumi, per la storia; è federale in tutto il suo essere e da tempo immemorabile. Con la federazione la nazionalità italiana si assicura e si consolida, mentre con l'unità si crea per essa un fatalismo che la soffocherà. Previsioni fatte nell'anno 1863 e poi tutte drammaticamente confermate. Lo stesso pensiero cattolico, durante l'unificazione italiana, è sempre stato di impronta federalista, anche se con motivazioni diverse. Da citare l'abate torinese Vincenzo Gioberti, per cui l'Italia doveva essere una federazione sotto la presidenza del papa e il Rosmini, per il quale gli stati più rispettosi della dignità della persona e delle sue associazioni sono quelli federali.

L'unificazione italiana, realizzata dai Savoia insieme a ristrettissimi gruppi di 'patrioti' mediante una serie di annessioni militari di fronte alle quali le popolazioni rimasero nel complesso indifferenti, portò con sé il timore delle forze centrifughe, per via delle enormi diversità esistenti fra le varie entità statali da poco soppresse, e ciò spinse il re ed il suo poco rappresentativo parlamento ad una politica strettamente centralista la quale, se mantenne unito militarmente il regno, non riuscì a fondere culturalmente gli abitanti né tantomeno a risolvere il gravissimo problema del Mezzogiorno.
Lombardi, Veneti, Piemontesi, Liguri e Toscani, avvezzi a governi efficienti come quelli dei Savoia, del granduca Leopoldo di Toscana o dell'imperatore d'Austria nel Lombardo-Veneto e con un'economia ed una mentalità europee, si trovarono così d'improvviso a convivere con le realtà ben diverse degli Stati della Chiesa e del Regno delle due Sicilie, nei quali ristagnava una condizione semifeudale sia dal punto di vista economico che culturale.

La gravità dell'errore storico che si andava compiendo non sfuggì a Carlo Cattaneo, la figura forse più importante fra i pensatori federalisti, il quale lucidamente comprese come un'unificazione imposta dall'espansionismo della monarchia sabauda fra stati di così diverso grado di sviluppo non avrebbe innalzato di molto quelli arretrati mentre avrebbe frenato non poco quelli evoluti. Scrive a Enrico Cernuschi, nell'agosto del 1850:
L'Italia è fisicamente e istoricamente federale. Anzitutto fisicamente: la geografia della penisola, troppo lunga e troppo stretta, la separazione delle isole, le differenze etniche e climatiche, la mancanza di un centro e di una città capitale. Ma ancora e soprattutto storicamente. Il principio unitario trionfò in alcuni paesi europei attraverso la formazione delle monarchie nazionali. Non così in Italia, che non è mai stata un regno ma solo un insieme di città e la sua storia è sempre stata storia di autonomie municipali e regionali.
Ciò spiega, fra l’altro, l'arretratezza del Mezzogiorno, dove il fenomeno dei liberi comuni è stato quasi del tutto assente. Federazione, per Cattaneo, non significa dunque divisione ma unità, l'unica unità possibile e consona alle lingue, alle storie ed alla geografia delle Italie. Per lui, il pluralismo delle molte Italie, lungi dall'essere un male, è un
prezioso viscere vitale. Scriveva: Ben venga una loro unificazione, ma che sia federale, cioè rispettosa delle loro diversità.

Invece le cose andarono ben diversamente. Con il fascismo lo stato raggiunge il massimo accentramento,
in un delirio di romanizzazione e di nazionalismo. Mussolini potenzia una burocrazia centrale fedele e fascistizzata che gli permetta un controllo totale dell'apparato statale. I nuovi burocrati provengono per lo più dalle regioni meridionali, dove è difficile trovare altri sbocchi lavorativi, e così il problema della pubblica amministrazione viene ad intrecciarsi inestricabilmente con il problema del Mezzogiorno per via della forte meridionalizzazione di un apparato statale che guarda oramai con sospetto sia al decentramento che alla libera iniziativa, portato com'è, per mentalità, a privilegiare un lavoro 'sicuro' che non richiede troppa fatica ed esclude del tutto spirito di iniziativa e responsabilità.

E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. È significativo quanto scriveva al proposito il politologo cattolico Luigi Sturzo:
Purtroppo la mentalità formatasi in Italia sotto il fascismo non è cambiata; chi ha avuto il torto di essere stato all'estero si sente spaesato e perde la pazienza al solo vedere quella folla di enti parassiti, di uffici inutili, di specializzazioni senza competenze, di complicazioni di servizi senza che il cittadino ne sia veramente servito. I burocrati di Roma odiano gli organi elettivi al punto che si pensa di riordinare le camere di commercio con presidenti nominati per decreto dal ministero. Mentalità fascista che perdura. E continua: Si soffoca il paese con gli enti statali. Se anche fossero necessari è impossibile che non vadano male, con tanti controlli e vincoli dentro i quali si infilano gli intrighi e gli interessi privati.
Sono questi gli anni in cui nasce lo Stato socio-assistenziale che, divenuto presto il più grosso gruppo economico del paese, sperpera il denaro pubblico in strutture elefantiache ed inefficienti, falsa le regole della libera concorrenza, spoglia i cittadini dei loro redditi senza con ciò offrire un servizio decente.
I mali che ben conosciamo, inefficienza dei servizi, crisi economica, disoccupazione, corruzione, criminalità organizzata trovano la loro principale radice nel centralismo partitocratico.

Come si conclude dunque il confronto fra uno stato federale ed uno centralista come quello attuale?
La risposta è data dai fatti, prima ancora che dalle teorie. Uno stato federale costituisce innanzitutto la miglior difesa dell'identità locale dei cittadini, quel complesso di lingua, tradizioni e comportamenti che caratterizzano una comunità, quell'identità che è presente nel profondo di ognuno di noi e che emerge nei momenti forti della nostra esistenza. La soluzione federale collega identità diverse, etniche, storiche e culturali, impedendo però le sopraffazioni. Tutti italiani, senza con ciò cessare di essere, anche e prima, piemontesi, lombardi o siciliani. D'altra parte, è un dato di fatto che tra un piemontese e un siciliano corrono maggiori differenze, nel bene come nel male, di quelle che vi sono tra un piemontese ed un francese.
La forma allungata della penisola ha sempre spinto il centro-nord verso la mitteleuropa ed il centro-sud verso il mediterraneo. In una struttura federale queste vocazioni naturali vengono entrambe soddisfatte senza reciproco impaccio. Inoltre, uno stato federale tutela l'ambiente, affidandone la conservazione a chi lo conosce, lo abita e lo ama e non a chi viene mandato da Roma per effetto di un concorso ministeriale.
Ed ancora, è chiaro che uno stato federale è in grado di offrire servizi più efficienti e rapidi di uno stato centralistico, dove pensioni, scuola, ferrovie, tasse vivacchiano nell'inettitudine dei ministeri romani, enormi macchine mangiasoldi la cui funzione principale pare essere quella di pagare stipendi in cambio di preferenze elettorali. Forse l'esempio più chiaro dell'inefficienza di servizi che sono pagati a livello svedese e ricevuti a livello ugandese sono state le poste repubblicane: più di 200 mila addetti che non riescono a consegnare una lettera se non, in media, dopo sei giorni.
Non è difficile capire che la maggior parte dei servizi sociali può essere federalizzata, come accade nei più civili paesi del mondo. L'aver meno politici e funzionari in giro e più servizi affidati alla responsabilità dei privati locali, sotto l'occhio vigile dei loro concittadini pagatori, significherebbe meno consorterie e più efficienza. Uno stato federale, infine, è uno stato più trasparente. La possibilità di controllo da parte dei cittadini sulle spese e sul comportamento dei loro amministratori è ben maggiore che in una struttura di centralismo burocratico, ed è più libero poiché pone una pluralità di poteri nel ruolo di reciproci controllori.

Dunque custodia delle identità storiche e culturali, tutela dell'ambiente, autonomia nei rapporti con altre regioni europee, razionalizzazione dei servizi, semplificazione dell'amministrazione, trasparenza e controllo: è difficile immaginare che questi traguardi, senza i quali non può esistere democrazia né sviluppo, siano raggiungibili senza federalismo. Democrazia e federalismo: due aspetti diversi di un'unica vita civile.

(Silvano Straneo)

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